Un dialogo con Nerina Garofalo

Appunti per spettacoli che non si faranno

un dialogo con Nerina Garogalo:

Ho incontrato Ernesto attraverso le parole, quando ci siamo scritti per un progetto antologico nel quale è impegnata la libera editrice Coessenza. Più o meno un anno fa. In questo quasi anno, abbiamo finito con l’incontrarci, virtualmente, in più luoghi, fino a imparare a conoscerci attraverso testi, immagini e azioni. L’uscita di “Appunti per spettacoli che non si faranno” mi ha consentito un passo in più sul territorio dell’incontro. Un passo stimolante, per quella commistione di energia e consapevolezza dolorante che contiene. Con la bella dedica (in foto) con cui me lo ha donato Alessandra Luberto.

Appunti per spettacoli che non si faranno è  (come ben annota Alessandro Chidichimo nella suggestiva prefazione), una raccolta di marginalia, note d’attore e frammenti che annusano la poesia.Pubblicata dalla Casa Editrice Coessenza, con le illustrazioni originali di Raffaele Cimino, artista  ed art director che dal 2003 vive e lavora a Modena.

Illustrazioni di inusuale nitida potenza, accompagnate a testi che rivelano l’indicibile, il backstage della creatività, e spaziano fra il diario, la poesia, il poemetto in prosa e il fumetto, in questa costruzione emozionata.

Mentre scrivo, esce in rete il nuovo video di Eugenio Finardi, Passerà, tratto dal triplo cd “Sessanta”, con testo scritto a quattro mani con il cantautore ligure Zibba. Girato nella campagna cosentina, con la presenza audacemente allegra, fiduciosa e vitale di artisti ed abitanti calabresi, il video esce, a breve distanza da un altro video legato a Cosenza e online da tre settimane, il bel Benvenuta a Cosenza diMarco Fama, di cui abbiamo scritto in questo stesso spazio).

Tutto questo fermento,  andando a stringere questi giorni di crisi nell’anello che tiene della creatività e del sentimento del futuro. Nel video Ernesto Orrico è una presenza straniante e suggestiva, con quel suo silenzio mimico trafitto di significati. Con lui, fra gli altri, Brunori Sas  e la fotografa Ivana Russo.

Dalla curiosità per tutto questo sono nate le domande, alle quali Ernesto Orrico ha risposto consentendoci di prender parte ad un altro  tassello del suo vissuto creativo ed umano.

NG: Ernesto vive nel teatro e porta il teatro nel mondo. Lavora con grandi e piccoli, per età e dimensione. Ha maestri e colleghi di esperienza straordinaria, fra tutti Mariangela Gualtieri. Cos’è per te il teatro? In quale teatro poni oggi il tuo teatro?

EO: Il teatro è il mio aggancio al reale. La poesia attraverso cui interpretare il mondo. È, nel tempo, l’ancora che non ha consentito di abbandonarmi ad una vita sociale sfocata. Ho avuto modo di incontrare tanti maestri, alcuni per periodi troppo brevi, ma tra i laboratori in cui ho avuto la possibilità di studiare quelli con Mariangela Gualtieri sono stati tra i più illuminanti, un’idea che da lì proviene e su cui ancora continuo a macinare, è il lavoro sulla lingua sciancata, sulla lingua rotta; un’uscita continua dai margini della scrittura e dall’oralità di un italiano presunto corretto.

Il mio teatro cerco di portarlo ovunque, certo, i miei lavori non sono assai appetibili per i grandi teatri, anche se il mio sogno perpetuo è di poter recitare per 30 giorni di fila al Rendano, e forse per la mia città e i miei concittadini sarebbe un incubo.

In questo periodo, con un gruppo di amici artisti e di appassionati di teatro stiamo costruendo delle azioni teatrali di massa per le strade e le piazze di Cosenza, un’idea che abbiamo mutuato dal progetto “Mercuzio non vuole morire” che Armando Punzo e la Compagnia della Fortezza stanno portando avanti a Volterra, si tratta di un teatro che conquista lo spazio pubblico attraverso la poesia di corpi e voci non arresi allo stato delle cose presenti.

NG: Appunti lavora sul terreno della poesia, da dove parte questo desiderio, che sembra contenere, per titolo e genere, una ammissione di impotenza e allo stesso tempo la pretesa di un assoluto e di una utopia?

EO: Il titolo forse è una provocazione a me stesso, la scrittura mi ha sempre dato la possibilità di costringermi a mantenere un’etica, di giocare a non tradirmi. Ritrovare le parole di prima mi da un senso di sicurezza, per le scelte che ogni giorno si devono compiere. Fissare piccole poesie, stralci di ipotetici spettacoli su carta diventa un impegno per il futuro, pur nella consapevolezza che non ci siano scritte verità immutabili, anzi tutt’altro, resta però la possibilità rileggendosi di non smarrirsi. Nel lettore che non conosce la mia vita invece mi auguro che possa innescarsi un meccanismo simile, come se la scrittura fosse una mappa da consultare per trovare un sentiero provvisorio in cui avventurarsi: su di me i libri hanno questo effetto.

NG: La tua raccolta vibra di spari, la velocità del colpo e il suo silenzio d’attesa sono dichiarati. Cos’è oggi uno sparo a teatro, in una città che ha sempre avuto con il teatro un legame forte, determinato e a un tempo fortemente ambiguo?

EO: La sorpresa che ancora può innescarsi grazie alla prossimità di corpi, voci, umori nel luogo fisico in un cui si svolge l’azione teatrale. Ancora questo forse nient’altro che questo? Il teatro, il suo farsi, si declina in centinaia di modi, di stili, di forme, di caratteri… esiste e insiste in ogni angolo del globo, finché ci saranno anche solo due esseri umani che agiscono, giocano, si guardano, sopravviverà.

Nella città e nella regione in cui vivo, fatto salvo il periodo magno-greco, l’arte teatrale vive il suo miglior momento, grazie a decine di operatori culturali che hanno preso finalmente coscienza della loro qualità artistica. E questa fioritura è avvenuta nonostante gli investimenti economici delle amministrazioni pubbliche sulla promozione della cultura teatrale abbiano continuato ad essere ondivaghi, carenti o legati a logiche clientelari, mi riferisco in particolare a come vengono nominati i direttori artistici delle istituzioni teatrali pubbliche o semipubbliche dotate di maggiori budget.

NG: La tua è una raccolta dolorosa e odorosa, come nei migliori luoghi l’olfatto è chiamato in causa dalla parola, e con esso il perimetro del corpo che lo veicola e lo produce. Che odore ha questa tappa senza perimetro nella tua ricerca? Dove ti dimori, fra ciò che si farà e non si farà?

EO: Mi dimoro in qualsiasi luogo possa avverarsi una possibilità di teatro e di scrittura, alla ricerca insistente del contatto con l’altro da me, e spesso ovviamente accade di commettere errori grossolani che mi costringono a rapide ricostruzioni, a nuovi ripensamenti.

Negli ultimi mesi sto sperimentando delle forme poetiche di scrittura all’improvviso sui social network, usando la bacheca elettronica come spazio performativo, come estensione ideale di un ipotetico teatro della mente. Ovvio che manca la componente della prossimità fisica che produce odore e sapore, ma è un pezzo di un panorama più ampio, un intrecciarsi continuo di reale e virtuale, una contaminazione perpetua, uno scivolamento perenne che nel mio caso cerca poi consistenza e esistenza nello spazio dell’azione teatrale dal vivo.

NG: La relazione con l’impegno è palese, almeno a me arriva questo, quasi come un sussulto a ogni passo. Ed è una relazione con l’impegno e il disincanto, con la rabbia e l’amore. Quanto amore c’è nel aver costruito il libro con Coessenza e con Raffaele Cimino? Chi è, nella tua vita, Raffaele Cimino, per accolto la sua visione sulle tue parole, visione che arriva sinergica, persino fibrillata?

EO: Coessenza io la definisco una casa editrice selvaggia, che mi auguro non si adegui mai ad una presunta “civiltà”. La scelta di pubblicare con questa piccola realtà indipendente è stata naturale, in un certo senso automatica. Ho partecipato per due anni agli incontri periodici che i componenti della Coessenza organizzano in luoghi occupati, all’aperto, in spazi universitari, sempre con l’idea di un nomadismo felice e leggero, ho letto i testi miei e di altri autori in una logica orizzontale di confronto che mi auguro possa continuare nel prossimo futuro.

Raffaele Cimino è un amico, un vecchio collega d’università e soprattutto un artista con una sensibilità assai orientata alla decodifica della contemporaneità, forse grazie al fatto che è anche direttore creativo di un’agenzia di comunicazione. Negli ultimi 10 anni abbiamo collaborato in diverse occasioni, ha realizzato alcuni disegni di grandi dimensioni per “Hamlet Cuts”, spettacolo che ho messo in scena su un testo di Marcello Walter Bruno; il fondale per “Nel Sangue” performance, che ho realizzato con Manolo Muoio, dedicata Rocco Gatto, il mugnaio comunista ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1977 per non essersi piegato al pagamento del pizzo; più di recente ho partecipato come performer alla sua video-installazione “La decadenza dell’ultimo quarto”. Le illustrazioni che accompagnano le parole di Appunti per spettacoli che non si faranno, Raffaele ha voluto fortemente realizzarle dopo aver letto il testo, la mia richiesta era solo quella di creare un’immagine per la copertina, ma la sua proposta di accompagnare tutte le pagine con delle creazioni originali mi ha sorpreso e ovviamente emozionato. Il risultato ai miei occhi appare come un potenziamento esponenziale delle parole, un allungamento di orizzonti e di senso.

NG: Chi ha scritto la prefazione dice di odiare le prefazioni, io amo le interviste se riescono a dare spazio alla vita di chi le accoglie. Se fossi tu a poterti fare una domanda, se potessi aprire ancora uno spettacolo che non farai e che quindi fai nella parola posata, non recitata, non spaziata, di cosa parlerebbe? Dove ci porterebbe?

EO: Le domande che continuo a pormi sono dentro Appunti, gli spettacoli che non farò o che cambierò facendoli sono già dentro questo libro e negli altri testi che continuo a scrivere. C’è un mio monologo inedito che si chiama Non parlo dell’Italia, esiste, ha una parvenza di definizione, eppure sento che non lo metterò in scena nell’immediato, non so bene dire perché, forse perché mi provocherebbe un dolore troppo lacerante che ho già provato con

‘A Calabria è morta? E allora continuo a leggerlo, a sentirlo risuonare nelle mie stanze, a riscriverne pezzi. Mi interessa continuare a interrogare il mondo di adesso, le circostanze in cui viviamo, le paure da cui siamo attraversati. Sogno di scrivere un dialogo tra una donna e un uomo che non smettono di amarsi nonostante la realtà che hanno intorno sembra sgretolarsi ogni giorno che passa.

NG: Nessuna ama è forse la pagina che ho più amato, il testo che ho più compreso. Ma qui siamo alle personali assonanza, forse perché è un testo esattamente maschile, ed io amo la convergenza sull’esistenza. Ci metto accanto ritornello 1, e ti porgo la parola rabbia. Noi ci conosciamo poco, ma in ogni nostro contatto che ci sia stato mi è invece arrivata una straordinaria delicatezza, di modo, di contatto, di analisi, di accostamento all’altro. Sento quindi come un’ospitale divergenza. Se dovessi leggerla, vedrei in essa la ragione di una scelta sul terreno della poesia per esprimersi. È un azzardo?

EO: Forse la scrittura mi serve come esorcismo della violenza, della rabbia che comunque mi capita di covare dentro. Di fondo sono una persona piuttosto riflessiva, mi piace ascoltare le ragioni degli altri e discutere, confutare tesi o, quando succede, e non è raro, arrendermi a nuove opinioni che pensavo di non poter pensare. La poesia, la scrittura veloce, frammentata, le frasi saette, i micromonologhi è come se si servissero di me per aiutarmi ad avere una parvenza di controllo sulla vita. Non credo che potrei mai scrivere un romanzo, ci sarebbe bisogno di un progetto con fondamenta solide e poi bisognerebbe decidere i piani, gli spazi e troppe cose da nominare e concatenare, troppo controllo da esercitare. No, non mi entrerebbe/uscirebbe proprio in/dalla testa.

NG: Azzarda con me: mi regali il titolo per uno spettacolo che farai, ad ogni costo?

EO: Neo-Hero-In. A Woman Experiment. È già in lavorazione, nel prossimo autunno se le cose gireranno per il giusto verso… debutterà.

(N.G, Roma, 22 giugno 2012)