Teatro al futuro

Il teatro del futuro prossimo come sarà?

foto di Angela Zwingauer, Cercando Mercuzio, Cosenza 2012

Somiglierà a quello di prima?

Certamente.

Eppure dovrà esser diverso.

Non potrà non tener conto di questi giorni strappati,

di questo dolore immenso, di questa sospensione grigia.

Il teatro è un tratto umano in costante mutazione,

si è sempre manifestato, ha preso mille forme, ancora lo farà.

E il suo grado zero, il suo nucleo irresistibile, riducendo all’osso, è il racconto.

Trasmissione di una conoscenza, di un sapere, di una sensibilità.

Ci si incontra in uno spazio vuoto, si danno segni e suoni, inizia l’atto teatrale.

E adesso che non sappiamo quando potremo rientrare in quei tèmpli laici

dove immergersi in sospensione di realtà, adesso,

che non sappiamo quando potremo stare di nuovo vicini vicini,

a respirare insieme, in comunità, in quei siti scuri, pericolosi, magici…

ecco, adesso! bisogna immaginare un teatro per il futuro.

Per il futuro vicino, per l’estate che verrà.

Un’estate di piazze dove tornare a raccontare e raccontarsi,

un tempo di luoghi per incontrare e incontrarsi.

forse ancora misurando distanze di sicurezza,

e forse tanti, per obbligo o per umana paura,

vestiranno palandrane protettive, e sì,

sarà strano rivedersi ancora così,

ma si ricomicerà.

Si deve.

Penseremo alle donne e agli uomini, alla necessità di storie, di suoni, di futuro.

Si troveranno modi. Torneremo ad usi antichi, i tramonti ci troveranno a dire di Edipo e Antigone, di Amleto e Ofelia, di Blanche DuBois e Stanley Kowalsky, della leggenda di Colapesce e delle vicende dei briganti. Saluteremo le albe suonando, danzando e cantando al sole che nasce. Si troveranno modi. Useremo vecchie e nuove amplificazioni per colmare le distanze, maschere e giganti torneranno nelle strade. Giocheremo coi nasi rossi, le parrucche gialle, i pantaloni a righe e le bretelle a pois su una canottiera sbrindellata. Si troveranno modi. Andremo paese per paese, con la forza nuda della voce, in un vicolo stretto porteremo storie minime di resistenza cocciuta, di amore ritrovato, di odio sconfitto. Canteremo. Sì, canteremo. Canteremo, sì. Si troveranno modi. Saremo un’altra volta cantastorie che scoprono l’Italia, megafono a batteria e mantello nero e cappello di feltro e 10 e 20 e 30 cartelli disegnati e pupazzi storti e burattini strani.

E fra qualche tempo

un tempo adesso sconosciuto

in un futuro

un futuro che non so

torneremo

famelici feroci felici

nelle fredde sale delle scuole

negli auditorium sgangherati

fra gli stucchi dei vecchi teatri

torneremo

a risuonare strumenti e voci

occhi negli occhi vicini vicini

sconosciuti quasi abbracciati

e i nostri respiri non faranno male.

Adesso pensiamo all’estate.

L’estate che verrà.